Domani la direzione nazionale del Partito democratico si esprimerà rispetto l’accordo di governo tra PD e Movimento 5S, sarebbe una discussione interessante, se non fosse che l’ex segretario ha già dettato la linea con un’intervista su Rai uno, svuotando completamente di significato la direzione di domani e riuscendo in una mezz’ora a far parlare di se. Il punto è che c’è una fetta consistente del nostro partito che pensa: “il problema è Renzi”, lui con le sue uscite, spesso arroganti glielo fa credere ancora di più. Voglio dirlo chiaramente se pensassimo che tolto Renzi abbiamo risolto i problemi del PD siamo degli illusi.

I problemi del nostro partito nascono da lontano, probabilmente da prima della sua nascita e si possono riassumere in tre macro aree:

  1. Organizzazione
  2. Assenza di linea politica
  3. Correntismo

Prima di pensare di dare lezioni agli altri su come si governa o come bisognerebbe fare vanno risolti questi problemi.

Il tema dell’organizzazione nasce col PD, qualcuno che c’è dall’inizio ricorderà il surreale dibattito tra partito solido e liquido, che si è concluso con la solita ‘non decisione’ tenendo in piedi le sezioni, con un cambio di nome, infatti adesso sono circoli, svuotandoli però di ogni funzione. La classe dirigente viene scelta con le primarie (anche quella di partito, non solo chi si presenta alle elezioni) le piattaforme di programma sono legate ad un candidato, non alla base che lo elegge e spesso e volentieri i circoli sono scavalcati o appiattiti sui livelli istituzionali degli eletti nelle amministrazioni pubbliche. Mi sembra evidente che non si può restare un ibrido, chiedendo alle persone di perdere il loro tempo nelle sezioni (circoli) mentre le decisioni vengono prese altrove. Bisogna fare una scelta di campo, integrare lo schema classico della sezione con tutto quello che offre internet, come è stato fatto ad esempio con il tentativo di creare il PD Network, nella campagna per le europee o con Luoghi ideali di Fabrizio Barca. Dare un senso ai nostri militanti ed uscire dalla logica del comitato elettorale è il primo passo per tirare fuori il partito dal guado.

Una base solida di militanti può essere utile per sviluppare il punto due: la linea politica. Che deve essere linea del partito, non di questo o quel candidato. Pensate ai cinque stelle, con l’idea del reddito di cittadinanza, durante le prime campagne elettorali erano derisi da tutti, sono riusciti a trasformarlo in una proposta politica forte ed identitaria a cui si è contrapposta la flat tax della lega. Noi nel dibattito eravamo completamente assenti e non proviamo a dire che sono gli elettori che non ci hanno capito, l’epoca dello snobismo è finito. Il reddito di cittadinanza, tanto per restare sul pezzo, è stato ideato e realizzato in Italia da Antonio Bassolino, quindi dalla sinistra, però ce ne siamo dimenticati lasciando il campo delle periferie, del sud, del disagio giovanile agli altri. Rimettere al centro i temi cari alla sinistra, con una campagna di elaborazione nazionale può essere un modo per ricreare la comunità del Pd, mettendo in rete i circoli da nord a sud, con le loro proposte da discutere, votare ed emendare, quello che fino a ieri era impossibile, con internet ora assume una nuova veste.

Ultimo punto è quello delle correnti, una vera piaga che in Campania poi assume toni grotteschi ed esasperati. Non è possibile stare in un partito dove ogni consigliere regionale ha la sua corrente politica che diventa una sottocomponente delle aree nazionali. Aree, che poi non si capisce in cosa si differenziano, se non nello spartirsi quote di potere (ammesso che sia rimasto qualcosa nelle macerie). Ridare senso ai circoli, all’elaborazione politica è uno strumento per marginalizzare le correnti, premiando la partecipazione reale, non i pacchetti di tessere. Mission quasi impossible. Ma, rispolverando uno slogan in voga un po’ di tempo fa: se non ora quando?